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martedì 27 luglio 2010

Il ponte sul Garigliano

Il ponte borbonico "Real Ferdinando" sul Garigliano (detto "delle fate" o "meraviglioso ponte"), è un ponte sospeso situato nei pressi dell'area archeologica di Minturnae (Minturno), sul confine fluviale che divide la Provincia di Caserta da quella di Latina.
Fu il primo ponte sospeso realizzato in Italia, a catenaria di ferro, e secondo ponte in Europa, dato che il primato assoluto europeo spetta alla Gran Bretagna (1824). Fu esempio di architettura industriale italiana che dal punto di vista tecnico costruttivo era per quei tempi all'avanguardia in Europa.

L'idea
La primogenitura dell'idea di un ponte sospeso in ferro la si deve allo spirito poliedrico e innovatore di Carminantonio Lippi che avanzò la proposta in una serie di cinque memorie, la prima delle quali risale al 1817.
L'idea del Lippi risultava anticipatrice sia per la tipologia che per l’utilizzo del ferro quale materiale costruttivo primario. L'idea, pur sostenuta dal proverbiale spirito battagliero dello scienziato proponente, inizialmente non ebbe però sufficiente credito. Fu un’ipotesi di ricerca che gli ingegneri del Corpo borbonico di Ponti e Strade non seppero cogliere in quegli anni. 
Nel 1825, l'ingegner Luigi Giura, riprendendo l'innovativa idea della realizzazione del ponte sospeso, scelse come modello di riferimento, in un primo momento, il ponte dell’Unione sul fiume Tweed (1820) presso Paxton in Scozia, anche per il successo che tale struttura aveva riscosso nell’ambiente culturale napoletano (come testimoniano i trattati di architettura di Francesco De Cesare e di Nicola d'Apuzzo). Nel 1828, dopo numerosi viaggi condotti in Inghilterra e in Francia, presentò un progetto differente dalla prima ipotesi e che faceva riferimento, apportandone numerose variazioni, al "Pont des Invalides" di Parigi, che presentava difetti di stabilità prima ancora di essere portato a termine.

Il progetto e la realizzazione
Su incarico di Ferdinando II di Borbone, la progettazione fu affidata all'ingegner Luigi Giura, che ne diresse anche l'esecuzione. Sostituì la fragile scafa risolvendo, almeno per un secolo, l'attraversamento del fiume.
I lavori furono iniziati nel 1828 e terminati il 30 aprile 1832: l'inaugurazione alla presenza del re avvenne dieci giorni dopo, il 10 maggio 1832: il sovrano si pose al centro della campata e ordinò che sul ponte passassero due squadroni di lancieri al trotto e ben sedici traini d'artiglieria.
I componenti costruttivi metallici erano stati prodotti nelle ferriere calabresi di Cardinale, di proprietà di Carlo Filangieri principe di Satriano. La spesa fu di 75 000 ducati, a carico del regno.

La distruzione e il restauro 
Il 14 ottobre 1943 la campata fu minata in due punti e fatta saltare in aria dall'esercito tedesco, attestato lungo la linea Gustav e in ritirata verso Roma dopo l'armistizio. Tuttavia i piloni e le relative basi non subirono danni irreparabili.
Il ponte è stato restaurato con un progetto di archeologia industriale finanziato dalla Comunità Europea nel 1998 ed è, finalmente, aperto alle vistite del pubblico (gruppi di max 25 persone) in concomitanza con gli orari del vicino Comprensorio Archeologico Minturnae.

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

domenica 25 luglio 2010

I PRIMATI del Regno delle Due Sicilie

Alla fine di questa ampia panoramica sulla storia politica, civile, culturale e sociale del Mezzogiorno italiano sotto il regno della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie (1734-1860), può essere utile riassumere in maniera schematica i principali “primati” che segnarono in maniera profonda la civiltà e la società meridionale nella seconda metà del XVIII secolo e nella prima metà del XIX.
Dal sintetico quadro, apparirà infatti evidente da un lato come positiva e costruttiva fu l’opera dei sovrani Borbone (e in special maniera, come abbiamo potuto ben vedere, di Carlo, Ferdinando e Ferdinando II), e dall’altro quanto fallace e sovente menzognera sia la “vulgata” risorgimentale sul “borbonismo” in Italia.
A completamento di tutte le voci precedenti, ci limiteremo ad elencare, uno dopo l’altro, ogni singolo “primato”, almeno i più significativi. Al lettore lasciamo il giudizio in merito.


INDUSTRIA:
  • Nell’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856 fu assegnato il Premio per il terzo Paese al mondo come sviluppo industriale (I in Italia);
  • Primo ponte sospeso in ferro in Italia (sul Fiume Garigliano);
  • Prima ferrovia e prima stazione in Italia (tratto Napoli-Portici);
  • Prima illuminazione a gas di città;
  • Primo telegrafo elettrico;
  • Prima rete di fari con sistema lenticolare;
  • La più grande industria metalmeccanica in Italia, quella di Pietrarsa;
  • L’arsenale di Napoli aveva il primo bacino di carenaggio in muratura in Italia;
  • Primo telegrafo sottomarino dell’Europa continentale.
  • Primo esperimento di Illuminazione Elettrica in Italia a Capodimonte;

Il Ponte sul Garigliano di Luigi Giura
Acquerello su carta di Fergola

L'inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici (l'arrivo del treno ai Portici)
Salvatore Fergola

Le Officine di Pietrarsa, ora museo ferroviario

  • Primo Sismografo Elettromagnetico nel mondo costruito da Luigi Palmieri;
  • Prima Locomotiva a Vapore costruita in Italia a Pietrarsa;

ECONOMIA:

  • Bonifica della Terra di Lavoro;
  • Rendita dello Stato quotata alla Borsa di Parigi al 12%;

  • Minor tasso di sconto (5%);
  • Primi assegni bancari della storia economica (polizzini sulle Fedi di Credito);
  • Prima Cattedra universitaria di Economia (Napoli, A. Genovesi, 1754);
  • Prima Borsa Merci e seconda Borsa Valori dell’Europa continentale;
  • Maggior numero di società per azioni in Italia;
  • Miglior finanza pubblica in Italia; ecco lo schema al 1860 (in milioni di lire-oro) 
    - Regno delle Due Sicilie: 443, 2
    - Lombardia: 8,1
    - Veneto: 12,7
    - Ducato di Modena: 0,4
    - Parma e Piacenza: 1,2
    - Stato Pontificio: 90,6
    - Regno di Sardegna: 27
    - Granducato di Toscana: 84,2

Profilo del primo battello a vapore costruito a Napoli,
il "S. Ferdinando" poi "FerdinandoI", Napoli, Archivio Storico
  • Prima flotta mercantile in Italia (terza nel mondo);
  • Prima compagnia di navigazione del Mediterraneo;
  • Prima flotta italiana giunta in America e nel Pacifico;
  • Prima nave a vapore del Mediterraneo;
  • Prima istituzione del sistema pensionistico in Italia (con ritenute del 2% sugli stipendi);
  • Minor numero di tasse fra tutti gli Stati italiani.
  • La più grande Industria Navale d'Italia per numero di operai (Castellammare di Stabia, 2000 operai);
  • La più alta quotazione di rendita dei titoli di Stato (120 alla Borsa di Parigi);
  • Rendita dello Stato quotata alla Borsa di Parigi al 12%;

  • Minor tasso di sconto (5%);
  • Prima Nave da guerra a vapore d'Italia (pirofregata "Ercole"), varata a Castellammare;
  • Prima Nave da crociera in Europa ("Francesco I");
  • Primo Piroscafo nel Mediterraneo per l'America (il "Sicilia", 26 giorni impiegati);
  • Prima nave ad elica ("Monarca") in Italia varata a Castellammare;
  • Prima città d'Italia per numero di Tipografie (113 solo a Napoli);
  • Primo Stato Italiano in Europa, per produzione di Guanti (700.000 dozzine di paia ogni anno);
  • Primo Premio Internazionale per la Produzione di Pasta (Mostra Industriale di Parigi);

  • Primo Premio Internazionale per la Lavorazione di Coralli (Mostra Industriale di Parigi);

    GIURISPRUDENZA – ORGANIZZAZIONE MILITARE:
    • Promulgazione del primo Codice Marittimo italiano;
    • Primo codice militare;
    • Istituzione della motivazione delle sentenze (G. Filangieri, 1774);
    • Istituzione dei Collegi Militari (Nunziatella);
    • Corpo dei Pompieri.

    Cerimonia dell'inaugurazione del Bacino di Raddobbo nel porto militare di Napoli (15-8-1852), olio su tela. seconda metà del secolo XIX, Napoli Comando in Capo del Dipartimento Militare Marittimo del Basso Tirreno
    S. Fergola


    • Prima applicazione dei principi della Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi;

    SOCIETÀ, SCIENZA E CULTURA:
    • Prima assegnazione di "Case Popolari" in Italia (San Leucio presso Caserta);
    • Primo Cimitero italiano per poveri (il "Cimitero delle 366 fosse", nei pressi di Poggioreale);
    • Primo Piano Regolatore in Italia, per la Città di Napoli;
    • Cattedra di Psichiatria;
    • Cattedra di Ostetricia e osservazioni chirurgiche;
    • Gabinetto di Fisica del Re;
    • Osservatorio sismologico vesuviano (primo nel mondo), con annessa stazione metereologica;
    • Officina dei Papiri di Ercolano;
    • La più alta percentuale di medici per abitante in Italia;
    • Più basso tasso di mortalità infantile in Italia;
    • Prime agenzie turistiche italiane;
      Scavi archeologici di Pompei ed Ercolano;
    • Prima cattedra di Astronomia;
    • Accademia di Architettura. una delle prime e più prestigiose in Europa;
    • Primo intervento in Italia di Profilassi Anti-tubercolare;
    • Primo istituzione di assistenza sanitaria gratuita (San Leucio);
    • Prime agenzie turistiche italiane;
      Scavi archeologici di Pompei ed Ercolano;
    • Primo Atlante Marittimo nel mondo (G. Antonio Rizzi Zannoni,
      "Atlante Marittimo delle Due Sicilie");
    • Primo Museo Mineralogico del mondo;
    • Primo "Orto Botanico" in Italia a Napoli;
    • Primo Osservatorio Astronomico in Italia a Capodimonte;
    • Primo Centro Sismologico in Italia presso il Vesuvio;
    • Primo Periodico Psichiatrico italiano pubblicato presso il Reale Morotrofio di Aversa da Biagio Miraglio;
    • Primo tra gli Stati Italiani per numero di Orfanatrofi, Ospizi, Collegi, Conservatori e strutture di Assistenza;
    • Primo istituto italiano per sordomuti;
    • Prima Scuola di Ballo in Italia, annessa al San Carlo;
    • Prima Città d'Italia per numero di Teatri (Napoli);
    • Prima Città d'Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli);
    • Prima Città d'Italia per numero di pubblicazioni di Giornali e Riviste (Napoli);

    Il teatro S. Carlo
    ricostruito dopo l'incendio del 1816
    • Scuola pittorica di Posillipo (da cui uscì, fra gli altri, G. Gigante);
    • Le celeberrime fabbriche di ceramica e porcellana, fra cui quella di Capodimonte;
    • Teatro S. Carlo (il primo nel mondo), ricostruito dopo un incendio in soli 270 giorni;
    • Scuola musicale napoletana (Paisiello, Cimarosa, Scarlatti);
    • Successo mondiale (e tutt’oggi valido) della canzone napoletana;
    • I palazzi reali.
    Questi sono solo i “primati”, non certo tutte le attività avviate nel Regno e i progressi raggiunti in ogni campo, che abbiamo per altro già delineato in tutte le voci precedenti basti pensare, come già visto, alla scuola di arazzeria).
    Riteniamo superfluo, per concludere, fare polemiche. Ci basta sottolineare tre verità storiche tanto ovvie quanto inoppugnabili: alla luce di tutto quanto descritto in questo sito,

    Primo Telegrafo Elettrico,
    in funzione dal 1852

    Pianta e Prospetto Principale della Stazione di Napoli
    1) si può ancora continuare a credere alla “vulgata” risorgimentale che presenta il Regno borbonico come il più regredito e odiato d’Italia?
    2) Come si può spiegare il fatto che prima del 1861 non esisteva praticamente il fenomeno dell’emigrazione, e che dopo tale data sono emigrati quasi 20.000.000 di disperati?
    3) Tutto questo costituisce una spiegazione al tragico quanto eroico fenomeno della rivolta filoborbonica del 1860-1865?
    Appare evidente, oggi come non mai, la necessità di ripresentare agli italiani la loro storia secondo criteri di maggiore imparzialità.
    Non per spirito di sterile polemica, ma ad onore e servizio della verità storica.
    A servizio della memoria della identità culturale e civile di tutti gli italiani.

venerdì 23 luglio 2010

Il Palazzo Reale di Portici.

L’altro Palazzo Reale costruito da Re Carlo fu la Reggia di Portici. Nel 1737, durante una tempesta, la coppia reale dovette fare approdo a Portici; la Regina Maria Amalia fu subito entusiasta del posto e al Re venne l’idea di costruirvi una residenza regia, che divenne poi Reggia ufficiale.
I lavori, iniziati nel 1738, furono affidati prima al Medrano, poi ad Antonio Canevari, ed infine intervennero anche il Vanvitelli ed il Fuga.
Re Carlo acquistò le aree verdi circostanti per il parco ed anche la villa del conte di Palena e quella del principe di Santobuono, che furono poi incluse nella nuova costruzione.
Nel 1740 si decise di espandere il sito verso il mare acquistando il bosco dei d’Aquino Caramanico, del palazzo Mascabruno e di quello del principe d’Elboeuf. 

Il Palazzo Reale in una rappresentazione pittorica del '700

A lungo si è creduto che il Palazzo fosse stato ideato e realizzato in funzione delle ville preesistenti acquistate da Re Carlo; oggi però, gli studiosi, in base ad un’attenta lettura delle antiche proposte progettuali (che non furono accettate dal Sovrano perché finalizzate allo spostamento della strada regia), trovano spiegazione della particolare costruzione della Reggia non tanto in motivazioni architettoniche quanto piuttosto in motivazioni di carattere politico e sociale: Re Carlo voleva cioè «sperimentare una nuova forma di palazzo che incarnasse verso l’esterno l'idea di “monarchia clemente”, che consentisse al popolo di sentirsi materialmente e fisicamente più vicino al sovrano» (Barbera).

Nato come dimora estiva della Corte, il Palazzo Reale divenne col tempo residenza reale e sede del Museo Ercolanense, voluto da Re Carlo per raccogliere gli oggetti portati alla luce ad Ercolano (Portici divenne così una delle mete del Grand Tour).
Terminati i lavori nel 1742, la Reggia si rivelò però insufficiente ad ospitare tutta la corte, e così molte famiglie aristocratiche, per star vicino ai sovrani, acquistarono o fecero costruire ville nei dintorni, creando quel patrimonio artistico caratteristico dell’area, noto come “Ville Vesuviane”.
Il Palazzo presenta una superba facciata con ampie terrazze e balaustre ed è costituito da una parte inferiore ed una superiore, divise da un vasto cortile attraversato dall’antica “Strada regia delle Calabrie”, attualmente viale Università.

Il Palazzo Reale oggi
Dal vestibolo si accede al primo piano attraverso un magnifico scalone lungo il quale sono poste statue provenienti da Ercolano; ed anche per i pavimenti di alcune stanze furono usati mosaici provenienti dagli scavi delle cittadine vesuviane.
Al primo piano vi sono la Sala delle Guardie e la Sala del Trono, che ancora conservano parte delle decorazioni originarie; da ammirare, poi un gabinetto Luigi XV ed un altro cinese sempre con pavimentazione proveniente da Ercolano. 

Tra le realizzazioni più preziose, ricordiamo il salottino di porcellana della Regina Maria Amalia, splendido esempio della perfezione raggiunta dalla Real Fabbrica delle Porcellane di Capodimonte: attualmente si trova presso il Museo di Capodimonte a Napoli.
Anche la splendida cappella barocca conserva due colonne di marmo rosso che, impiegate per la realizzazione dell'altare, provengono dalla scena del teatro di Ercolano.

Come per la Reggia di Caserta e di Capodimonte, il parco costituisce una delle meraviglie del Palazzo: si tratta di un giardino all’inglese dolcemente degradante verso il mare, caratterizzato da lunghi viali: notevole è la Fontana delle Sirene, una statua di scavo raffigurante la “Vittoria”, il “Chiosco” di Re Carlo, con un tavolino con mosaico, la Fontana dei Cigni e la statua di “Flora”, anch’essa di scavo; vi è poi un anfiteatro a tre ordini di scale.
Interessante anche l'area per “il gioco del pallone”, o “gioco delle fortificazioni”, destinata ad ospitare un’antica forma sportiva, oggi scomparsa, simile alla pelota spagnola.

Al di là del giardino si estendeva il bosco, realizzato secondo le tipiche attrazioni adibite agli svaghi di corte: il recinto per il gioco del pallone, la piazza forificata per le esercitazioni militari, la fagianeria, ecc. Nel 1742 vi fu messo uno zoo con animali esotici, tra cui un elefante regalato a Re Carlo dal sultano Mahmud, per il quale fu pubblicato anche un opuscolo, Dissertazione dell’Elefante, del 1766.

giovedì 15 luglio 2010

Il Real Sito di San Leucio.

San Leucio è qualcosa di più che uno dei vari “siti borbonici”: esso ha rappresentato una rivoluzionaria istituzione socio-economica.
La zona fu individuata da Ferdinando IV negli anni Sessanta, a seguito dell’ultimazione dei lavori per la Reggia di Caserta. In questi anni, il giovane sovrano prese l’abitudine di soggiornare sempre più spesso a Caserta, i cui dintorni erano ideali per la pratica da lui preferita, la caccia.
Scrisse lo stesso Sovrano un volume a riguardo, intitolatoOrigine della popolazione di San Leucio, stampato nel 1789, ove troviamo scritto: «Nella magnifica abitazione di Caserta, cominciata dal mio augusto padre, proseguita da me, io non trovava il silenzio e la solitudine atta alla meditazione ed al riposo dello spirito; ma un’altra città in mezzo alle campagne, con le stesse idee di lusso e di magnificenza della capitale; così che, cercando luogo più appartato che fosse quasi romitorio, trovai adatto il colle di San Leucio. Di qua le origini della colonia».

S . Leucio: abitazioni
Individuata la riserva di San Leucio, nel 1773 stabilì che vi fosse costruito un fabbricato destinato al riposo durante le cacce, più tardi denominato “Vaccheria”. Accadde però nel 1778 un evento tragico: vi morì il Principe ereditario Carlo Tito.


Il Giardino all'italiana e il Belvedere
Da allora i due Sovrani, straziati dal dolore, non vollero abitarvi più; nondimeno, il Re decise di utilizzarlo altrimenti, proprio allo scopo di trarne comunque dell’utile vantaggio.
Vicino alla Vaccheria sorgeva l’antico casino baronale degli Acquaviva. L’idea di Ferdinando fu geniale: affidò all’architetto Francesco Collecini, allievo del Vanvitelli, l’incarico di ampliare e trasformare in reggia-filanda la costruzione del Belvedere, per poi costruire tutto intorno un grande sito di filande tessili, una vera e propria “città-industria”, da popolare di operai, dando anche leggi, regolamenti di lavoro e norme di vita.
Le prime filande furono ubicate nello stesso complesso; poi nel 1805 fu costruita la Filanda dei Cipressi, poi ampliata nel 1823 con la realizzazione di una sovrastante “coccolliera”, destinata alla custodia dei bozzoli dei bachi da seta.
All’interno dell’edificio furono situate le abitazioni dell’amministratore dell’azienda e del parroco, la scuola, le officine per filare e torcere la seta, le camere per la tintoria, l’abitazione della maestra e del direttore delle macchine. Al piano superiore si trovava l’abitazione reale, direttamente in contatto, tramite un corridoio, con la stanza dei telai.
Vi erano poi anche le stanze adibite a sala da ballo e sala da pranzo; particolare il bagno della Regina, pensato con le caratteristiche di un antico ambiente termale con una grande vasca “calidarium” di forma ovale in pietra di Mondragone, incassata nel pavimento, e rifornita di acqua calda da una stufa posta nel vano sottostante e le cui pareti furono affrescate da Philip Hackert .
Come detto, il Re volle popolare il sito di operai per le filande, tanto da costituire una vera e propria “città-Stato”, con sue norme e consuetudini precise.


La fontana di A. Solari
Nel suo libro, Ferdinando IV espone la preoccupazione per l’educazione dei figli degli operai, per il mantenimento delle famiglie e per la tranquillità del lavoro di tutti, al fine che ogni uomo e donna vivesse del proprio lavoro con dignità, senza cadere nell’ozio, padre di ogni vizio.

In tal senso, detterà le regole di vita e lavoro comunitario, che resero famoso nel mondo il sito di San Leucio come uno dei primi tentativi di socialismo agrario di stampo illuminista ed anche un po’ utopista, anche se lo spirito che mosse Ferdinando era un sano paternalismo regale. Scrisse infatti il Re: «(…) Questa norma e queste leggi da osservarsi dagli abitanti di San Leucio che da ora innanzi debbono considerarsi come una sola famiglia sono quelle che io qui propongo e distendo, più in forma di istruzione di un Padre ai suoi figli che come comandi di un legislatore ai suoi sudditi.
Queste norme erano numerose, e regolavano anche gli aspetti della vita privata:
- l’uguaglianza: «nessuno deve distinguersi dagli altri se non per esemplarità di costume ed eccellenza di mestiere»;
- matrimoni: età non inferiore ai 20 anni per gli uomini e ai 16 per le donne, e, soprattutto, «nella scelta non si mischino punto i genitori ma sia libera dei giovani»; era abolita la dote, per la quale provvedeva il sovrano stesso;


San Leucio: Abitazioni
- «Lo scopo di questa società è che tutti rimangan nel luogo»: severe erano le leggi per chi voleva sposarsi fuori, che comunque doveva abbandonare per sempre la colonia; per gli uomini che sposavano donne esterne ma intenzionate a venire a vivere a San Leucio, la regola era che queste dovevano prima imparare il mestiere;
- istruzione: obbligatoria per tutti, «per diventar uomo dabbene e ottimo cittadino»;
- retribuzione: era data in base alla perizia del singolo fino al massimo che «si gode dai migliori artisti nazionali e forestieri»;
- ereditarietà: i testamenti furono aboliti, e l’unica successione era quella fra padre e figli con parti uguali tra di loro, e usufrutto alla vedova; in mancanza di eredi i beni del defunto andavano al Monte degli Orfani;
- governo: elezione democratica da parte dei capifamiglia di 5 individui scelti fra i più savi, giusti e prudenti;
- provvedimenti sociali: casa degli infermi; cassa della carità sovvenzionata con una tassa sul reddito di ciascuno e da libere offerte, che provvedeva ai bisogni degli sventurati fino alle esequie funerarie e ai suffragi religiosi; lotta agli evasori, additati prima al pubblico disprezzo, e, se recidivi, privati di ogni forma di assistenza;
- giustizia: vi era un esercizio interno, che arrivava fino all’espulsione nei casi gravi, ed alla consegna alla giustizia statale nei casi dei reati penali comuni;
- lavoro: la giornata lavorativa era di 11 ore giornaliere; ricordiamo che negli stessi anni in Inghilterra gli operai (che certo non vivevano nelle amenità naturali di San Leucio!) non avevano alcuna garanzia di nessun genere, e le giornate lavorative giungevano fino a 16 ore giornaliere, anche per i fanciulli; inoltre v’era parità assoluta di salario fra uomini e donne.
Non possiamo non ricordare, in tale sede, gli elogi sperticati di cui fu ricoperto Re Ferdinando IV da coloro che poi nel 1799 lo tradiranno senza scrupolo alcuno di riconoscenza e coerenza: anzitutto della nota Eleonora Fonseca Pimentel, “amica” della Regina, che, dopo aver scritto di lui che superava in grandezza addirittura Alessandro Magno e dopo averlo nominato “Novello Numa”, lo definì su “Il Monitore” repubblicano imbecille, vilissimo despota e stupido tiranno…


La mietitura a San Leucio
Naturalmente, dopo il 1860, il sito fu abbandonato a se stesso, e poi come sempre ne venne cancellata la memoria: «I 780 gigli d’argento dorato che facevano parte della fastosa decorazione della sala del Trono di Palazzo Reale a Napoli, usciti da quella filanda, vennero rimossi dai funzionari di casa Savoia e bruciati il 14 settembre 1861. Le 20 libbre d’argento ricavate saranno poi vendute per un pugno di ducati.

mercoledì 14 luglio 2010

Il Teatro di San Carlo.

Il San Carlo è oggi il più antico teatro operante in Europa: costruito nel 1737, precede di 41 anni la Scala di Milano e di 51 la Fenice di Venezia.
Inoltre, non ha mai veramente sospeso le sue stagioni, eccezion fatta tra il maggio 1874 e il dicembre 1876, a causa delle difficoltà economiche in cui versava Napoli dopo la caduta del Regno borbonico.
Né l’incendio devastatore del 1816 né gli eventi tragici della Seconda Guerra Mondiale riuscirono ad interrompere le attività: nel primo caso infatti il teatro fu ricostruito in pochi mesi; nel secondo, si andò avanti con una serie di rappresentazioni a forma di concerto.
Peraltro, divide con il Teatro alla Scala il primato della prima scuola di ballo italiana, fondata contemporaneamente a Milano e a Napoli nel 1812, mentre al 1816 data la nascita della Scuola di Scenografia
.

 Teatro di San Carlo, prospetto principale
Come sempre, fu Carlo di Borbone a volere un nuovo Teatro in Napoli (in sostituzione di quello piccolo e ormai vecchio di S. Bartolomeo), inquadrando il progetto nell’ambito del rinnovamento urbanistico della capitale del suo nuovo Regno indipendente.
Il 4 marzo 1737 fu firmato il contratto con l’architetto Giovanni Antonio Mediano (che in seguito sarà impegnato anche per i Palazzi Reali di Capodimonte e Portici): il 4 novembre dello stesso anno il teatro era pronto!
Mediano progettò una sala lunga m. 28,60 e larga 22,50; 184 palchi disposti in 6 ordini, più un ampio palco reale, capace di ospitare fino a 10 persone; un vasto palcoscenico che permetteva di realizzare qualsiasi movimento scenografico.

Teatro di San Carlo, prospetto laterale
Il preventivo di spesa fu calcolato in circa 100.000 ducati: 32.000 li donò il Re in persona, mentre buona parte della somma si ricavò tramite la vendita delle prime quattro file di palchi, il cui valore fu fissato tra i 580 e i 770 ducati ognuno: del resto, possedere un palco al San Carlo, magari vicino a quello reale, era considerato dalla nobiltà napoletana un particolare segno di distinzione.
Il Teatro fu inaugurato il 4 novembre 1737, giorno onomastico del Re, con l’opera Achille in Sciro di Metastasio, musica di Domenico Sarro che diresse l’orchestra.
«Il teatro si impose immediatamente all’ammirazione dei napoletani e degli stranieri, per i quali divenne in breve tempo un’attrattiva giudicata senza eguali: per la grandiosità, la magnificenza dell’architettura, le decorazioni in argento e oro, gli addobbi sontuosi in azzurro, colore ufficiale della Casa Borbonica, per il valore artistico degli spettacoli» .
Il San Carlo divenne naturalmente l’espressione anzitutto della scuola musicale napoletana, che era famosa in tutta Europa sia per l’opera buffa (anche se questa non veniva rappresentata al San Carlo) che per l’opera seria: basti ricordare a riguardo compositori come, fra gli altri, Cimarosa, Paisiello, ecc.
La facciata del San Carlo
vista dalla Galleria Umberto I
«Non stupisce, allora, che Napoli fosse considerata in quel tempo la capitale della musica europea e che, di conseguenza, molti compositori stranieri guardassero al San Carlo come a un traguardo della loro carriera: fu il caso di Hasse, J.C. Bach, Gluck, Myslivece. 
Del resto, alla fama del San Carlo concorse anche la qualità dell’orchestra: nel 1780 era composta da 59 elementi (32 violini, 4 viole, 3 violoncelli, 5 contrabbassi, 4 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 trombe, 1 tamburo e 2 cembali).
Nel 1816 avvenne l’incendio che distrusse completamente il Teatro: «l’evento gettò Napoli nel lutto e fu raccontato con emozione dai giornali di tutta Europa. Ma soltanto dieci mesi dopo, alla fine dello stesso anno, gli stessi giornali con meraviglia ed ammirazione diedero la notizia che il San Carlo era già risorto.
Fu lo stesso Re Ferdinando (ora I) a ordinare, solo sei giorni dopo l’incendio, che fosse ricostruito immediatamente, e incaricò l’architetto Antonio Niccolini, che diede al nuovo edificio una chiara impronta neoclassica, ne migliorò l’acustica e ne ampliò il palcoscenico, che ancora oggi misura m. 33,10 x 34,40.La sera della seconda inaugurazione, il 12 gennaio 1817, era presente Stendhal. Ecco il suo commento: «Non c’è nulla in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea. Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita….

Interno del Teatro di San Carlo
Ma la maggior gloria del Teatro doveva ancora venire: nella prima metà dell’Ottocento, divenuto impresario Domenico Barbaja , oltre agli stessi maestri della scuola napoletana (compositori come Zingarelli, Pacini, Mercadante) che già da soli mantenevano il passo con il resto d’Europa, questi scritturò come compositore e direttore artistico dei Regi Teatri di musica una dei più grandi geni musicali di tutti i tempi: Gioacchino Rossini.

 Il palco reale
Rossini vi rimase per otto anni, dal 1815 al 1822, scrivendo Elisabetta Regina d’Inghilterra, Armida, Mosè in Egitto, Ricciardo e Zoraide, Ermione, La donna del Lago, Maometto II, Zelmira.
Naturalmente con tal maestro, il San Carlo divenne anche il ritrovo dei migliori “cantanti di stagione”, fra cui ricordiamo la Colbran (che poi andò via con Rossini), G.B. Rubini, Domenico Donzelli e i due grandi rivali francesi Adolphe Nourrit e Gilbert Duprez, l’inventore del “do di petto”.
Partito Rossini, Barbaja mise a segno un altro eccellente colpo: scritturò l’astro nascente del melodramma, Gaetano Doninzetti, che rimase dal 1822 al 1838, componendo per il teatro ben 16 opere, fra cui Maria Stuarda, Roberto Derereux, Poliuto e la celeberrima Lucia di Lammermoor.
Peraltro, qualche anno prima Barbaja 
 aveva avvicinato un altro musicista, che a suo parere, avrebbe avuto un futuro da astro mondiale della musica: e neanche stavolta sbagliava, visto che si trattava di Vincenzo Bellini. Ma poi il Bellini preferì andare alla Scala.
Ma non poteva certo mancare Giuseppe Verdi: nel 1841 fece il suo ingresso al San Carlo rappresentando Oberto conte di san Bonifacio, cui fece seguito Alzira, Luisa Miller, Gustavo III (Un ballo in maschera): Verdi rimase il dominatore incontrastato del San Carlo nella seconda metà dell’Ottocento.
 Il palco reale
Per concludere, è superfluo dire che dopo la caduta del Regno, anche il San Carlo subì un certo graduale declino, almeno in rapporto agli altri grandi teatri europei. Ma la gloria di questa ennesima iniziativa borbonica rifulge ancora oggi nella storia della musica e della stessa civiltà napoletana e italiana.

martedì 13 luglio 2010

La Reggia di Caserta.

Di tutte le splendide opere e costruzioni con cui i Borbone abbellirono e modernizzarono il Regno delle Due Sicilie, il fiore all’occhiello è senz’altro l’universalmente conosciuta ed apprezzata Reggia di Caserta, come noto progettata ed in gran parte costruita dall’architetto olandese Ludwig Van Wittel, italianizzato in Vanvitelli.

 Facciata verso il giardino
Questi fu voluto a Napoli personalmente dal Re Carlo, il quale, da degno pronipote del Re Sole, voleva senz’altro procedere alla costruzione di un nuovo Palazzo Reale, degna “dimora” di un Sovrano Borbone e della sua Corte. Ciò sia perché desiderava avere una reggia non a Napoli ma vicino Napoli (ovvio anche in questo il richiamo a Versailles), sia soprattutto perché la nuova costruzione sarebbe dovuta essere, nelle sue intenzioni, la più bella e grande reggia del mondo dopo Versailles stessa, ad onore del nuovo Regno da lui conquistato e come ulteriore riprova della sua volontà che tale Regno fosse realmente indipendente e sovrano.
Ed infatti Re Carlo seguì sempre, nel corso degli anni, personalmente i lavori, unitamente alla Regina, divenendo entrambi a tutti gli effetti le guide ispiratrici del Vanvitelli, senza mai travalicare però il progetto iniziale del grande architetto.
Fu un “unione d’animi” eccellente: ciò è riprovato dallo stesso Vanvitelli, nelle sue periodiche lettere al fratello, ove esprimeva sempre la sua gioia per l’attenzione che i due Sovrani davano al suo lavoro, e per l’armonica intesa che permetteva di procedere velocemente e con grande profitto.

 Veduta della Reggia a volo d'uccello
Infatti, dopo la partenza per Madrid dei Sovrani nel 1759, le cose non saranno più come prima, e Vanvitelli rimpiangerà sempre i giorni felici degli Anni Cinquanta, a volte anche amaramente: famose sono le sue espressioni di rammarico per l’assenza del “Re Cattolico” ogni qualvolta terminava una nuova parte della Reggia (esempio gli splendidi giardini); un giorno ebbe a dire: «La fabbrica fa un bell’effetto, ma a che serve? Se vi fosse il Re Cattolico sarebbe molto, ora non è niente.

  Veduta prospettica del porticato a cannocchiale
La situazione divenne ancor più grave quando il Tanucci  prese il definitivo controllo del Regno, restringendo notevolmente le finanze a disposizione del Vanvitelli; infatti, se negli anni Cinquanta nella fabbrica lavorarono fino a 2000 operai, negli anni Sessanta diminuirono della metà.
Nonostante ciò, egli continuò a lavorare sempre con passione e impegno; inoltre nel 1766 giunse a Caserta il Galiani, Segretario dell’Ambasciata napoletana a Parigi, il quale, vedendo i lavori pressoché ultimati, elogiò apertamente il tutto, ed addirittura definì i giardini più belli e profumati di quelli di Versailles. Superfluo è sottolineare la gioia del Vanvitelli, che ormai aveva 65 anni ed era ammalato, e già pensava di lasciare al figlio Carlo la guida dell’opera per la sua conclusione.
Poi nel 1767 sarà il Vesuvio ad aiutarlo: dopo una violenta eruzione, il giovane Re Ferdinando IV decise di trasferirsi da Portici a Caserta, e così i lavori ripresero attivamente, fino alla sua morte, nel 1773; la sua opera sarà portata avanti dal figlio, ma in realtà la Reggia subirà modifiche ancora fino al 1920.

Il Palazzo
La prima pietra venne posta, con una cerimonia ufficiale, il 20 gennaio 1752, 36° genetliaco del Re Carlo. Vanvitelli aveva presentato il progetto il 2 maggio dell’anno precedente: Carlo e Maria Amalia ne furono talmente entusiasti che l’architetto scrisse al fratello che la realtà aveva superato le sue più fervide aspettative.
Del resto, la celerità con cui il Re volle procedere è dimostrazione inconfutabile dell’importanza che egli dava all’opera e del suo gradimento.
Il Palazzo era stato progettato come un grandissimo edificio con due facciate uguali, l’una sulla piazza d’armi, l’altra sui giardini. Del progetto iniziale, non furono mai realizzate la cupola centrale e la statua di Carlo sul timpano, al centro della facciata.
Per la prima volta, lo scalone centrale, che conduce ai reali appartamenti (oggi l’ingresso di questi è occupato dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione), fu posto al centro di un edificio.

Fontana di Diana e Atteone
Nel complesso, conta ben 1200 stanze! I giardini furono completati dopo la partenza del Re, e nel 1762 l’acqua – proveniente da Maddaloni – arrivò a Palazzo tramite l’Acquedotto Carolino.

  Lavamano con zampe di aquila
Non è certo qui possibile fare una descrizione del Palazzo Reale e dei suoi giardini; del resto, si tratta di uno dei capolavori dell’architettura più conosciuti ed amati al mondo; ci limiteremo quindi, oltre a mostrare alcune immagini, ad accennare agli ambienti più belli ed importanti. 
Dal vestibolo superiore si accede alla Cappella Palatina, simile a quella di Versailles (una spoglia sala a galleria con un colonnato che si innalza su un alto stilobate), inaugurata nella Messa di Mezzanotte del Natale del 1784, alla presenza del Re e di tutta la Corte.
La cappella è dedicata alla Immacolata Concezione, la cui immagine è dipinta nella curva absidale.
Ricordiamo poi le Stanze delle Stagioni, sale piccole e molto decorate: in quella della “primavera” il Re e la Regina accoglievano gli ospiti più intimi, e vi si trovano alcune splendide vedute di porti dell’Hackert.
Mentre l’Appartamento del Re è arredato in maniera rigorosa con mobili tedeschi, quello della Regina Maria Carolina è piuttosto frivolo ed elegante.
Attraversata la Biblioteca Palatina, composta di tre sale, di stile neoclassico, si arriva alla Sala Ellittica, tutta dipinta in bianco, senza decorazioni, destinata ai divertimenti di corte; attualmente ospita l’incantevole Presepe borbonico.
I Borbone favorirono sempre l’antica tradizione presepiale napoletana, e ad ogni Natale veniva allestito un grande presepe nella Reggia, al quale concorrevano non solo gli artigiani esperti, ma anche le Principesse di Corte, confezionando gli abiti dei pastori. Le figurine erano realizzate parte in terracotta, teste mani e piedi, mentre l’anima era in stoppa e fil di ferro.
 Natività
Venivano realizzati veri e propri progetti: l’ultimo fu del 1844, e l’attuale presepe presente alla Reggia si ispira proprio a quel progetto.
Dalla Sala ellittica si accede alla splendida Pinacoteca Casertana, allestita di recente con i ritratti dei Sovrani.
Ma ancora più importante è la sezione dedicata agli splendidi paesaggi che Ferdinando IV commissionò a J.P. Hackert, secondo vero artista della Reggia di Caserta.
Hackert, nato a Prenzlau nel 1737, nel 1768 giunse in Italia, rimanendovi per sempre; del 1782 è l’incontro con Re Ferdinando; il grande pittore racconta come rimase meravigliato della competenza del Re e di come parlasse con intelligenza e chiarezza di pittura.

  Fontana di Venere e Adone
I due si intesero subito (accadde in piccolo ciò che era accaduto in grande trent’anni prima), e da questa intesa nacquero le splendide tele che ancora oggi si ammirano a Caserta.
Da ricordare infine è il piccolo e prezioso teatro di Corte, sul lato occidentale del Palazzo. Il teatro non compariva nel primo progetto, e il Vanvitelli lo realizzò per precisa volontà del Re Carlo nel 1756, a lavori già cominciati.
Per concludere, i meravigliosi giardini, con le incantevoli sculture, per le quali solo l’occhio può dare fedele riproduzione.
E solo una visita personale in loco può far rendere conto dello splendore del Palazzo e della munificenza dei Borbone, realizzatori delle due più grandi e splendide regge del mondo.

domenica 11 luglio 2010

La Reggia di Capodimonte.

Un altro dei capolavori di Carlo di Borbone: la grande reggia che domina tutta Napoli, e che ospita uno dei più ricchi musei d’Italia e che ospitò una delle più celeberrime manifatture del mondo.
Il 10 settembre 1738 si inaugurarono i lavori per la Reggia: Carlo nel 1734 aveva conquistato Napoli e Sicilia, e immediatamente dispose la costruzione del nuovo Palazzo: era la prima dimostrazione materiale della sua volontà di rendere il Regno a tutti gli effetti sovrano e indipendente dalla Spagna.
Fin dall’inizio, Carlo scelse come luogo della futura reggia il vastissimo bosco di Capodimonte (124 ettari di terreno), da cui si può ammirare il panorama del golfo e della città, tra il Vesuvio, la collina di San Martino e Posillipo.
Inoltre, fin dall’inizio, fu subito intenzione del Re che il palazzo – come Palazzo Pitti a Firenze – avesse la duplice funzione di residenza regale e di celebrata sede museale.

 Ferdinando IV a cavallo con la corte a Capodimonte
Antonio Joli
Architetti furono il palermitano Giovanni Antonio Medrano e il romano Antonio Canevari, che si lasciarono in seguito coinvolgere in una non molto qualificante reciproca rivalità. Negli anni Cinquanta-Sessanta sovrintendente generale ai lavori fu Ferdinando Fuga. Medrano elaborò tre varianti di progetto: fu scelta alla fine la variante C (tuttora conservata a Capodimonte), che prevedeva un vasto edificio a pianta rettangolare (m. 170 in lunghezza e m. 87 sul lato minore), con un ammezzato e due piani oltre ai sottotetti per lo sviluppo verticale (m. 30). Lo stile adottato è quello neoclassico, proprio delle grandi Corti europee; l’impianto solenne e maestoso, celebrativo della dinastia.
Per i prospetti il Palazzo presenta, esternamente e verso l’interno, rigorose facciate in severo stile dorico (considerato il più idoneo per un edificio destinato ad ospitare anche una sede museale) e di misurato gusto neocinquecentesco, ritmate da forti membrature in piperno grigio, sapientemente contrastate con il rosso napoletano delle pareti intonacate.
Nei primi mesi la costruzione procedette velocemente, superando anche i molti ostacoli procurati dal trasporto dei materiali sulla sommità di Capodimonte, allora raggiungibile solo attraverso un impervio percorso in salita, attraverso l’utilizzo di pietre tufacee ricavate da scavi condotti per le profonde fondazioni dell’edificio; e furono create anche vaste e profonde cisterne per fronteggiare la cronica carenza di acqua.
Poi però vi fu un certo rallentamento nei lavori, sia per problemi specificamente economici, sia perché Carlo iniziò a pensare e a rendere concreto il grande progetto della Reggia di Caserta.

  La strada di Capodimonte
Riprenderanno poi con alacrità negli anni Sessanta sotto Ferdinando IV e Tanucci (peraltro, sono gli anni in cui rallentarono i lavori della Reggia di Caserta); ma solo negli anni di Ferdinando II il palazzo sarà completato, sotto la direzione dell’architetto Tommaso Giordano e la supervisione di Antonio Niccolini, con l’elevazione del cortile settentrionale.
Fondamentale ruolo svolse il grande parco per la caccia, che non era solo una passione comune ai Borbone di Napoli, ma una vera e propria «funzione di Stato; intorno al Sovrano, impegnato nell’attività venatoria, si sposta una variegata Corte composta da ministri, nobili, ospiti stranieri, spesso Capi di Stato, oltre ad artisti e pittori chiamati a ritrarre la scena come una cerimonia ufficiale.
Il Bosco, tradizionalmente attribuito a Ferdinando Sanfelice, a differenza degli altri parchi reali venne concepito in maniera del tutto autonoma rispetto alla dislocazione della Reggia, e l’impianto stesso venne studiato in rapporto all’attività venatoria. Presenta oltre 4000 varietà censite di alberi secolari, tra elci, querce, tigli, castagni, cipressi, pini.
Fu realizzato secondo un impianto scenografico di chiara impostazione barocca, con cinque lunghissimi viali alberati irradiantisi dal piazzale d’ingresso, ricchi di numerose statue in marmo, e l’intersecazione, dai suggestivi effetti prospettici, di viali minori tracciati all’interno di una fitta vegetazione naturale, «così da combinare, col gusto tradizionale per l’ordinata e simmetrica struttura prospettica del “giardino all’italiana” riadattato su esempi francesi, l’interesse più recente, già d’inclinazione romantica, per l’aspetto apparentemente spontaneo del “giardino all’inglese”
.
Sparsi nel verde vi sono una serie di fabbricati destinati allo svolgimento della vita di Corte (Casina della Regina, Palazzina dei Principi), a sede di fabbriche reali (fra cui l’edificio della Manifattura di Porcellana), a funzioni di culto (Chiesa di San Gennaro, Eremo dei Cappuccini), ad attività agricole e zootecniche (Fagianeria, Cellaio, Vaccheria).
Da ricordare è poi il Parco della Statuaria, realizzato a ornamento di fontane, viali e casini.
 Veduta del Palazzo di Capodimonte dal Parco
Antonio Giuli
Nel Palazzo soggiornarono, nel corso del tempo, protagonisti illustri della cultura europea, come, fra gli altri, Winckelmann, Fragonard, Angelika Kauffmann, Canova, Goethe, Hackert, che restaurò i dipinti rovinati e curò la pinacoteca.


Il Museo

Già dal 1735 Re Carlo aveva dato disposizione per il trasferimento a Napoli delle collezioni farnesiane ereditate dalla madre Elisabetta Farnese. Le consistenti raccolte, costituite da dipinti, disegni, bronzi, oggetti d’arte e d’arredo, medaglie e monete, gemme, cammei e vario materiale archeologico, erano allora prevalentemente sistemate nel Palazzo della Pilotta a Parma, quindi in maniera minore nel Palazzo del Giardino sempre a Parma, nel Palazzo Ducale di Piacenza, nella residenza di Colorno e nel Palazzo Farnese a Roma.
Re Carlo, che era ancora Duca di Parma e Piacenza, ordinò di fare un grande inventario generale del materiale artistico:
furono scartati i pezzi di poco valore (solo una minima parte, naturalmente), mentre il grande insieme delle opere, portato a Napoli, fu dapprima sistemato nel Palazzo Reale, per poi passare a Capodimonte non appena la Reggia fosse pronta per ospitare il museo.
Già nel 1739 una commissione di esperti fu incaricata dal Sovrano di studiare la più idonea sistemazione di una parte delle raccolte giunte da Parma: si stabilì di riservare ai dipinti le sale esposte a mezzogiorno e verso il mare, perché più asciutte e meglio illuminate, mentre per i libri, le medaglie e gli altri oggetti furono scelte le cosiddette “retrostanze”, che affacciavano verso il bosco.

Il Parco
Solo nel 1758, però, furono ultimate al piano nobile le prime 12 delle 24 sale destinate alla biblioteca, al medagliere, alla pinacoteca e alla raccolta di antichità.
Prima del saccheggio operato dai napoleonici nel 1799, i dipinti ammontavano a ben 1783 (da notare che l’originale pinacoteca farnesiana contava “solo” 329 quadri, e neanche tutti furono portati a Napoli da Carlo); è chiaro che, oltre alla collezione farnesiana, erano già esposte le opere della collezione borbonica. I francesi se ne portarono via più di 300 
.
Nel corso dell'ottocento il Museo si arricchisce di altre importanti sezioni: le collezioni borboniche, dipinti e oggetti preziosi provenienti da monasteri soppressi, da donazioni reali e di privati e da successive acquisizioni;

La Reggia di Capodimonte
sullo sfondo della citta di Napoli
e ancora i capolavori del cardinale Borgia, acquistati da Ferdinando I nel 1817, antichità egizie, etrusche, volsce, greche, romane, tra cui il famoso Globo celeste.
Infine la raccolta grafica, una delle più prestigiose in Italia, e il nuovo nucleo di opere di artisti contemporanei. Una dimostrazione esemplare, imperniata su rigore, cultura, passione della gestione quotidiana del tutto inconsueti, di come un patrimonio storico formidabile possa riproporsi alla ribalta dei grandi circuiti artistici internazionali.
Altre “asportazioni” avvennero poi nel 1860, al momento dell’occupazione del Regno da parte di Garibaldi: dei 900 e oltre dipinti esposti, ne rimasero meno di 800 .
Il Palazzo Reale di Capodimonte divenne Museo Nazionale dopo l'Unità.

sabato 10 luglio 2010

Il Palazzo Reale di Napoli.

Il Palazzo Reale di Napoli, come tutti sanno, non è opera dei Borbone. Fu voluto - in previsione di una visita nel Viceregno (visita poi non effettuata) del nuovo Re di Spagna Filippo III d’Asburgo (il figlio di Filippo II) - dal Viceré spagnolo Fernando Ruiz de Castro, che nel 1600 diede inizio alla fabbrica.
Se dedichiamo attenzione anche a tale struttura, è perché i Borbone ristrutturarono ed abbellirono notevolmente la reggia e l’intera area circostante, che assunse solo sotto Ferdinando II l’incantevole aspetto che ancora oggi ha.
Il Palazzo sarebbe sorto nella vasta area fra Santa Lucia e Castelnuovo; il progetto generale fu affidato ad uno dei più celebri architetti del tempo, Domenico Fontana, già autore delle grandi opere del Papa Sisto V a Roma; ma i lavori continuarono poi per decenni, e in non pochi casi si mutò il primitivo progetto del Fontana.
Comunque, per tutto il Seicento, la reggia, con il suo grande “Largo di Palazzo”, fu il cuore pulsante della vita politica e sociale napoletana.

 Palazzo Reale da Palazzo Salerno
acquerello, Giacinto Gigante, 1854
Gli interventi di Carlo e Ferdinando IV (I)
All’arrivo di Re Carlo nel 1734, la reggia era in stato di abbandono e del tutto priva del necessario per accogliere il Re e la sua Corte, al punto che si dovette ricorrere al Monte di Pietà e a privati per acquistare mobili, tendaggi e suppellettili .

Facciata su piazza del Plebiscito
L’architetto Ferdinando Sanfelice ebbe l’incarico di costruire un appartamento per il Maggiordomo Maggiore sul braccio orientale verso Castelnuovo; nel 1742, poi, attuò altri restauri insieme all’ingegnere camerale Casimiro Vetromile.
Nel 1736 iniziò il trasporto delle collezioni farnesiane, poi in parte trasferite a Capodimonte. Per il matrimonio del Re con Maria Amalia di Sassonia, furono chiamati a Corte nel 1737 i migliori artisti presenti in Napoli per decorare alcune parti del Palazzo (in particolare la Sala Diplomatica, detta anche Prima Anticamera di Sua Maestà); ricordiamo fra gli altri: Francesco Solimena, Francesco De Mura, Nicola Maria Rossi, Domenico Antonio Vaccaro.
Nello stesso anno fu inaugurata una fabbrica di porcellane, primo “abbozzo” di quella che poi diverrà la gloriosa fabbrica di Capodimonte.
Facciata Meridionale
Nel 1751 iniziò l’attività della Reale Stamperia Palatina, che fu arricchita dei macchinari della celebre tipografia di Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, mentre nel 1753 fu affidato al Vanvitelli il restauro della facciata del Fontana.
Ma, a dir la verità, Re Carlo non fu mai veramente affezionato al Palazzo Reale, sebbene vi abitasse, probabilmente sia perché troppo soggetto alla vita caotica della capitale, sia perché costruzione “non sua”. Nella sua mente e nel suo cuore vi erano già altre due regge, Caserta e Capodimonte: pertanto solo con Ferdinando IV ripresero i lavori.
Fu costruito il lungo corpo di fabbrica verso oriente, il Braccio Nuovo, occupando gran parte dei giardini, ove attualmente è situata la Biblioteca Nazionale; fu poi iniziata la costruzione del fronte verso il mare – che rimase però incompleto – e furono realizzate le prime sei campate di balconi.
Nel 1769 Ferdinando Fuga trasformò definitivamente la Gran Sala della Reggia spagnola, utilizzata dai Viceré per spettacoli, in Teatrino stabile di Corte, inaugurato con una Serenata o festa teatrale in musica di G.B. Sassi con musiche di Giovanni Paisiello. Il teatro ospitò soprattutto rappresentazioni particolari per il Re di Nicola Piccinni, Domenico Cimarosa e del Paisiello.
Sempre sotto la direzione del Fuga, negli anni Settanta furono decorate le sale; a questa fase risalgono le porte dipinte del palazzo, gli arazzi della Real Fabbrica tuttora conservati.

Veduta del Palazzo dai "Cavalli di bronzo"
Nel 1773 il Re aveva adattato il terreno antistante per le esibizioni militari, destinando la Piazza del Castello alle tradizionali feste popolari che si organizzavano in precedenza in quel luogo.
Nel 1767 fu fondato il Collegio Militare, nel 1778 l’Accademia di Scienze e Lettere e nel 1785 si avviò la sistemazione del Grande Archivio. Fu anche ripristinato nel cortile del maneggio il Laboratorio della Porcellana, dopo che Carlo aveva portato tutto a Capodimonte: la direzione fu affidata a Domenico Venuti nel 1781. Infine nel 1782 Ferdinando inaugurò una Fabbrica di Acciai con maestri viennesi, anch’essa diretta dal Venuti.
Dopo il 1815, Ferdinando I volle il Canova a Corte, commissionandogli una statua di Carlo; nel 1819 il Canova ebbe anche l’incarico di farne una del Re stesso; ma ormai l’artista era vecchio e malato, e poté solo modellare il cavallo; la statua fu completata da Antonio Calì: i due monumenti furono poi collocati nella piazza nel 1829.


La riforma generale di Ferdinando II
Una generale ristrutturazione della reggia avvenne, come sempre, sotto il Regno di Ferdinando II.
Fin dai primi anni furono ideati vari progetti; poi nel 1836 il Maggiordomo Maggiore Principe di Bisignano, con un Real Rescritto, ordinò un censimento generale del Real Palazzo, al fine di «por mano ai lavori prossimi», previsti per l’anno successivo. «In tal modo, almeno sul piano formale, iniziava uno tra i più complessi interventi di architettura intrapresi dai Borbone, che si concluderà in maniera quasi emblematica poco prima della morte di Ferdinando II»
L’intera operazione di riforma generale fu denominata “Riduzione”, e non a caso: «si trattava di fatti di ricostruire un’identità architettonica, procedendo per eliminazione, mediante una poderosa opera di demolizioni nella frastagliata cortina edilizia, che serrata, si estendeva dal lato S. Ferdinando e S. Carlo, laddove il Palazzo Vecchio dei viceré, costituiva una dissonante presenza (…) 


Giardini
La politica di Ferdinando II tese a centralizzare i vari poteri dello stato all’interno della Reggia, intendeva recuperare in tal modo, un modello di architettura rappresentativa, immersa in maniera organica nel tessuto urbano, visibile e riconoscibile nella sua funzione.


Palazzo reale in occasione della permanenza a Napoli di Papa Pio IX (1849) - L. Fergola
L’opera era veramente enorme, in quanto si trattava di lacerare la disordinata edilizia stratificatasi nel tempo, che aveva provocato la sopravvivenza di disparate attività all’interno delle mura del palazzo e perfino l’insediamento di nuclei familiari che si tramandavano il diritto di residenza. Ma l’aspetto che finì per imporsi fu senz’altro l’esigenza di sottomettere la “Riforma Generale” alle innovazioni – che si stavano gradatamente affermando anche a Napoli – della prima Rivoluzione Industriale.
«Lo sviluppo tecnologico, non poteva non interessare i lavori di “Riforma” del Palazzo, poiché esso si innestava in una visione globale di una Reggia, che fosse non solo rappresentativa, ma che fosse pure espressione dei suoi tempi, con un’apertura verso le nuove tecnologie, ritenute indispensabili per sopperire alle carenze dei sistemi artigianali, che immutati erano sopravvissuti fino agli inizi del secolo.
Così fu programmato un radicale ammodernamento degli impianti e dei servizi, secondo i criteri di efficienza tipici della nascente industrializzazione: furono introdotti l’illuminazione a gas, avanzati sistemi di distribuzione dell’acqua corrente, la macchina a vapore per i servizi idraulici, una nuova rete di scarico e fognature, lamiere nervate di zinco in sostituzione delle tegole, prodotti avanzati delle fonderie impiegati per la costruzione del Ponte del Belvedere e per i sostegni degli impianti illuminanti, composti plastici impermeabili per i giunti critici, vetri e specchi con vernici protettive, ecc.

Giardino Pensile del Belvedere con "Gran tavolo ellittico",
Andrea di Lucca
Il tutto avvenne sotto il costante controllo del Re, che creò apposite commissioni lungo tutto il ventennio della realizzazione della “Riforma”. Ferdinando II scelse come architetto - al posto di Antonio Niccolini, il preferito di Ferdinando I e Francesco I - Gaetano Genovese, il quale «studiò e progettò un rifacimento della Reggia sopra un piano grandioso comodissimo e bello, che presentò alla Maestà del Re, che poi sostanzialmente recuperava l’idea del Fontana, e che rispondeva alla visione conservatrice del Re.

" La Scala Grande"
Da ricordare poi è anche che nella seconda metà degli anni Quaranta, resi ormai agibili gli appartamenti reali, vi fu la “riduzione” a giardino inglese - «sinuoso e penetrante così come la tendenza della cultura romantica suggeriva, del maneggio grande, con la direttiva del “giardiniere botanico” Federico Dehnhardt e l’assistenza del botanico Gussone, cui faceva da contrappunto il giardino pensile neoclassico della Loggia del Belvedere, che, sospeso nel vuoto, si affacciava sull’incantevole scenario del Golfo.
Da ricordare infine sono la meravigliosa “Scala Grande” con la Grande Lamia di copertura, gli arredi e i preziosissimi tappeti (prodotti in parte in Belgio in parte a San Leucio).
Uno di questi tappeti è stato recentemente restaurato per iniziativa delle LL.AA.RR. i Principi Carlo e Camilla di Borbone delle Due Sicilie, Duca e Duchessa di Calabria.

venerdì 9 luglio 2010

La Casina del Fusaro

La Casina del Fusaro è un’altra delle delizie architettoniche costruite da Carlo e da Ferdinando.
Sorge in quella che gli antichi chiamavano la “palude Acherusia”, sede degli Inferi.
Nel 1752 Re Carlo acquistò il Fusaro creando, proprio in mezzo al lago, su un naturale livello granitico, una “casinetta ottagonale”. Ferdinando IV nel 1782 diede poi incarico all’architetto Carlo Vanvitelli, figlio di Luigi, di progettare e realizzare la residenza di caccia, la Casina Reale del Fusaro.

una veduata della Casina
Furono costruiti "sei bassi terranei' destinati alla scuderia reale, a "osteria per gli ospiti che vi si recavano a diporto"; fu restaurata l'antica foce di Torre Gaveta, e soprattutto, fu incrementata la coltura delle ostriche, di cui il re era molto ghiotto (al punto che si divertiva a partecipare alla vendita del pesce e delle ostriche del Fusaro). 
Verso la sponda del lago "furono costruiti vari fabbricati, uno detto Baraccone, che comprendeva una grande tettoia sostenuta con archi e pilastri per porvi a riparo barche ed attrezzi da pesca ad uno della famiglia reale"; un altro fabbricato detto Cassone per conservarvi i "pesci a vivo per la vendita". 


l'elegante lampadario nel salone d'ingresso
Così quello che un tempo era l'alloggio del guardiano divenne il "Real Casino" al centro del Fusaro.
Solo successivamente verrà costruito il pontile di legno, mentre l' "Ostrichina", ossia la villa a riva, progettata dall'architetto di Casa Reale Antonio De Simone, inaugurata nel 1825, aveva anche un ampio spazio per consentire la sosta delle carrozze reali.
Molti furono i grandi eventi che vi ebbero luogo e gli ospiti illustri. Ad esempio, il 15 maggio del 1819 Re Ferdinando offrì al Fusaro un pranzo in onore dell'Imperatore d'Austria Francesco II.
Ma se sotto l’aspetto architettonico questo monumento è legato al prestigioso nome di Carlo Vanvitelli, sotto quello decorativo richiama il nome di uno dei più illustri paesaggisti del ‘700: Philipp Jacob Hackert.

La struttura è composta da due piani sovrapposti, ma non simili. Quello inferiore risulta più ampio a causa di due ambulacri posti l’uno verso nord, l’altro verso sud ed ambedue ai lati delle arcate frontali. Tra questi due ambienti e la sala centrale vi sono due vani semicircolari utilizzati come corridoio, quello a lato nord e come cassa scale, quello opposto, al lato sud. Queste aree furono adibite a cucina, alloggi per il personale di servizio, dispensa e, più tardi, uffici e ripostiglio. Attualmente, dal mese di ottobre del 2001, gli ambulacri sono stati trasformati in “galleria degli ospiti illustri”.
Accedendo a questi locali si può provare l’incredibile sensazione di trovarsi sospesi sulle acque del lago; inoltre si possono leggere le biografie e i motivi di legame dei prestigiosi personaggi che hanno segnato la storia d’Europa per oltre due secoli e che furono ospiti al Sito Reale del Fusaro. L’intera dinastia dei Borbone, lo Zar di Russia Nicola I, il Principe di Metternich, Francesco I Imperatore d’Austria, sir William Hamilton, Giuseppe II d’Asburgo-Lorena, e quindi Gioacchino Rossini e Wolfang Amadeus Mozart, per citarne solo alcuni.
Vanvitelli ed Hackert, attraverso il loro genio creativo, avevano fatto ancora di più. Il piano nobile presentava infatti uno splendido pavimento il cui colore di fondo era un raffinato azzurro pastello, con temi floreali e multiformi decori gialli.

un'altra veduta della casina
La volta era finemente affrescata con temi pertinenti alla caccia, alla pesca ed alla natura in genere. Le pareti invece erano state coperte da quelle che lo stesso Hackert, rivolto a J.W. Goethe, aveva definito la migliore opera eseguita per la corte di Napoli: il ciclo delle quattro stagioni. L’artista aveva pensato di intervallare ciascuna stagione con il panorama che si può ammirare attraverso le ampie finestre. I dipinti infatti, a grandezza naturale, quindi a tutta parete, presentavano la linea d’orizzonte esattamente coincidente con quella naturale del lago senza alcuna soluzione di continuità. Una fusione completa tra i suoi capolavori e quelli che la natura aveva generosamente distribuito intorno al lago. Una sintesi di tutti i luoghi più amati da Ferdinando IV.

Particolare di un affresco
Purtroppo i capolavori di Hackert scomparvero durante la Rivoluzione Napoletana nel gennaio del 1799. Gli originari pavimenti furono invece rimossi dopo il secondo conflitto mondiale.
L’opera meno appariscente, ma sicuramente di grande ingegno è rappresentata dal tetto, sorretto da un complesso sistema di travi e supporti che hanno garantito grande tenuta contro gli agenti atmosferici, ma anche notevole resistenza alla natura vulcanica dei Campi Flegrei.
Dal Casino si ammira un panorama di eccezionale bellezza e, in particolare, il tramonto rappresenta uno spettacolo unico che estasiò e continua ad estasiare, con immutata intensità, potenti, artisti e gente comune.
Nelle giornate di bel tempo è di ineguagliabile suggestione vedere l’immagine della Casina riflessa nelle calme e trasparenti acque del lago, come fosse uno specchio ed ancora vere e proprie colonie di pesci che disegnano strane figure geometriche mentre compiono straordinarie evoluzioni fra gli scogli o ancora i rocchi, proprio quelli voluti da Re Ferdinando IV, pietre ammucchiate in una sorta di conca sulle quali venivano deposte le fascine con le ostriche perché queste non entrassero in contatto con il fango, disseminati, come tanti crateri, intorno all’isolotto.
Il posto è stato definito più volte un luogo d'incanto, un gioiello architettonico sull'acqua muta e trasparente. Maurice Coste inviato dal governo francese proprio per studiare l'allevamento delle ostriche del Fusaro, gridò ad un miracolo che andava "fatto anche in Francia". Un gioiello che destò le meraviglie di geni, come Mozart e Goethe.