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mercoledì 11 agosto 2010

Il Mastino Napolitano

La storia

di Giuseppe Alessandra

Non è certamente facile e semplice condensare in poche righe oltre quattromila anni di storia per questa razza italiana. Dalla terracotta di Arte Mesopotamica del Metropolitan Museum di New York, del 2000 a.C., al Mastino Napoletano attuale la razza si è certamente evoluta, mantenendo tuttavia pressoché inalterate alcune sue caratteristiche peculiari, che ne fanno un vero "unicum" nel sempre più vasto panorama mondiale delle razze canine ufficialmente riconosciute. E se da un lato c'è quasi una ricerca spasmodica per la riscoperta, nei diversi Paesi, di razze autoctone, dalla storia più o meno recente, per quanto riguarda il Mastino Napoletano esiste il problema opposto, e cioè di mantenerlo, certamente migliorando, così come ce lo hanno gelosamente conservato i "mastinari partenopei" nel corso dei secoli ed a cui deve andare il più sentito ringraziamento per aver preservato questo vero monumento storico della cinofilia italiana, che un po' tutto il mondo ci invidia.

Sul Mastino Napoletano esiste una ricchissima bibliografia, italiana ed estera, che, in diversa misura, né traccia, con ricchi supporti iconografici e storeografici, il percorso storico dalle origini ai nostri giorni. Tra tutte le opere oggi reperibili quello che tratta con maggiori riferimenti è sicuramente quella del Prof. Felice Cesarino, "Il Molosso, viaggio intorno al Mastino Napoletano" edito da Fausto Fiorentino nel 1995. Senza risalire ad epoche più remote si hanno notizie certe che i Sumeri si dedicavano all'allevamento di cani di grandi mole e potenza, che era utilizzati sia in combattimento contro i nemici, che nelle cacce contro i grossi mammiferi leoni in primis. Le loro caratteristiche principali erano: testa potente e voluminosa con muso piuttosto corto e di grande potenza; membra forti e possenti supportate da un ossatura di grande sviluppo; tronco forte e solido con un'altezza assai impressionante. Questo tipo di cane, di tanta potenza, doveva sicuramente trovare le sue origini più remote in quel Mastino del Tibet, che oggi è ritenuto, e giustamente, da tutti i più grandi studiosi, il vero progenitori di tutti i molossoidi.
I Sumeri, quindi, questo popolo tanto misterioso e dal tempo stesso tanto colto ed evoluto, nelle loro emigrazioni avrebbero portato in Mesopotamia questa razza, che, successivamente ebbe, nella terra tra Tigri e l'Eufrate, tanta fortuna e tanta considerazione da trovare rappresentazione in diversi reperti archeologici, sparsi oggi nei più grandi musei del mondo. E' noto, infatti, che in Mesopotamia, già 2000 anni fa prima di Cristo, esistevano dei grandi centri abitati (Eridu, Susa, Ur, Uruk per citare i più noti) nei quali erano allevati questi grossi cani utilizzati soprattutto per difendere la proprietà (ma anche greggi e armenti) dagli attacchi dei leoni, in quel tempo presenti in quelle regioni. Ovvio, quindi, l'interesse degli artisti dell'epoca per questo cane che, spesso, per le sue gesta entrava nelle leggende popolari. E' proprio a quest'epoca, infatti, che risalgono le prime rappresentazioni storiche artistiche d'arte Mesopotamica che testimoniano la presenza di questi cani.
La terracotta, già, del Metropolitan Museum di New York e l'altra del Museum of Art di Chicago, rappresentano con impressionante somiglianza un cane assai prossimo al nostro Mastino Napoletano. La prima riprende un cane seduto dalla testa di gran volume, ricca di pieghe e di giogaia., con un'inverosimile potenza di muso e con le orecchie amputate: nella seconda si vede una femmina, dalle stesse caratteristiche di potenza e sostanza della testa, nell'atto di allattare quattro cuccioli. E' veramente impressionante la similitudine tra questi due reperti ed il mastino moderno, proprio quello d'oggi, piuttosto che quelli presentati per la prima volta all'esposizione di Napoli del 1946 e che tanto impressionarono Piero Scanziani.
Ma per renderci meglio conto delle proporzioni e della potenza di questi cani basta osservare la terracotta Assira  più tarda delle precedenti, risale al IX secolo a.C. e conservata al British Musenum di Londra, che rappresenta un cane condotto al guinzaglio dal suo proprietario.
Questo reperto, di eccezionale interesse storico ed artistico (proprio per questo ripreso nei più importanti testi scientifici) ci consente alcune considerazioni ancora più puntuali e precise circa questi grandi molossi del passato.
Innanzi tutto la taglia: l'altezza al garrese raggiunge la cintola del suo conduttore e, quindi, non doveva essere sicuramente inferiore agli 80cm; la testa: di grande volume e ricca di rughe, con orecchie integre, portate piatte ed inserite piuttosto alte; la giogaia è molto sviluppata e parte dalle branchie della mandibola per finire a circa metà del collo; infine il tronco: questo è di grandissima potenza e di grande massa, è più lungo dell'altezza al garrese ed è sorretto da arti con ossatura molto potente, con importanti diametri trasversali.
Di fronte a questa testimonianza si può pensare all'attuale mastino, tanto è impressionante la sua somiglianza ai cani che oggi si vedono.Ma ritornando alla storia, partendo dalla Mesopotamia, questi cani si sono irradiati, sicuramente al seguito delle migrazioni o delle guerre, verso occidente seguendo tre direttrici: una più a nord, verso l'Anatolia, la Grecia, la Macedonia e l'Albania; una più a sud verso l'Egitto e la Libia; ed una terza verso le coste più orientali del bacino del Mediterraneo, in quella che era la terra dei Fenici. Questo sarà un passaggio fondamentale per lo sviluppo e l'espansione della razza in tutta Europa, ed in particolare, in Italia.
Cani così possenti furono, spesso oggetto di doni tra i potenti dell'epoca. Alessandro Magno era orgoglioso dei suoi Molossi, dono di un Re, ed il console romano Paolo Emilio, vittorioso con le sue legioni di terra di Molossia, tra i bottini di guerra portò a Roma alcuni di questi grandi cani per farli vedere al popolo. Lo stesso Giulio Cesare, intorno alla metà del primo secolo a.C., nella sua "campagna" per la conquista della Britannia, trovò di fronte alle proprie legioni dei cani di grandissima mole e di gran coraggio del tutto simile a quelli descritti, e che lui stesso definì "Pugnaces Britanniae".
Impressionato da tanta forza e coraggio Giulio Cesare ne portò a Roma alcuni esemplari, ma nel contempo nominò, in terra di Britannia, un procuratore addetto all'allevamento ed al trasferimento a Roma di questi cani.
La presenza in Britannia di questa razza avvalora, ed anzi conferma l'ipotesi che, prima ancora dei Romani, furono i Fenici, maestri assoluti nei commerci in quell'epoca, a diffondere nel bacino del Mediterraneo questo tipo di cane, sicuramente assieme ad altri, che successivamente diedero origine al nostro Cirneco dell'Etna ed a tutte le razze iberiche dei Podenghi.
Si può quindi affermare che prima ancora di Paolo Emilio e di Giulio Cesare, portati proprio dai Fenici, esistessero nel nostro territorio alcuni esemplari di questi grandi molossi.
Di questi hanno trattato, in maniera più o meno diffusa Varrone e Virgilio, ma quello che ha studiato e descritto il mastino con gran puntualità ed in modo dettagliato è stato il Columella, che nel primo secolo d.C. ha quasi stilato quello che potremmo definire uno standard di razza. Nel suo "De re rustica" il Columella lo definisce ottimo guardiano della casa e delle proprietà, anticipando di quasi due millenni, quella che è e deve rimanere l'attuale utilizzazione.
Anche se, come ben si sa, in epoca romana veniva utilizzato al fianco delle legioni, in guerra, e in combattimenti contro le fiere nei circhi, e che, successivamente lo si trova nelle Corti Rinascimentali del centro e del nord Italia, protagonista di cacce a grossi selvatici (cervi e cinghiali), il mastino era e resterà un cane da guardia, continuando così il suo impiego che molto tempo prima, tra i Sumeri ed i Mesopotami, lo aveva reso tanto celebre.
Ed è proprio per questa sua indole innata di guardiano della proprietà che, in epoca romana, i patrizi lo vollero custode delle ville, un tempo numerose nell'area Campania. Decaduto l'impero romano i cani sono rimasti, trovando, proprio alle pendici del Vesuvio un ambiente a loro favorevole, tanto da radicarsi strettamente sia col territorio sia con la gente sia li popolava.
E fu proprio in questa terra, sempre alle pendici del Vesuvio, che Piero Scanziani incontrò il Mastino Napoletano e fu subito un grande amore, al punto da essere ricordato, e giustamente, come colui a cui si deve la storia moderna di questa magnifica razza, oggi ricercata da cinofili di tutto il mondo.

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